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La casa delle api
Due essere umani un uomo e una donna, un paziente e una dottoressa, un ribelle dello status quo e una guardiana inconsapevole della società dominatrice sono obbligati da quelle stesse regole che uno di loro lo strano, per intenderci aborra al punto tale da provare più e più volte l’atto estremo del fine vita autoimposto, a costruire un rapporto dapprima all’insegna della violenza di stato gli accertamenti sanitati praticamente obbligatori e in seguito nel nome di una comunione di vedute che nella più banale delle decodificazioni dello spettatore e quindi del critico, ci mancherebbe potrebbe essere tradotto nel sentimento dell’amore.
“La Casa delle Api” è lo splendido grido di dolore di un autore che urla, tramite anche due attori molto bravi, il proprio disappunto per l’immutabile organizzazione di un mondo che preferisce sopravvivere sotto il giogo di regole ingiuste ma certe, piuttosto che dedicarsi ad una profonda forma di autocoscienza che metterebbe in pericolo ogni uso e costume ormai sedimentato da migliaia d’anni di uso ininterrotto.
In “La Casa delle Api” vi è un burattinaio che tira le fila e vi sono marionette che dapprima subiscono e poi, con grande fatica e con il rischio di pagare prezzi troppo alti, prendono coscienza dei collegamenti neanche troppo nascosti, vi è da dire esistenti tra le religioni e i mass media e i sistemi economici e i metodi di organizzazione sociale tutti attivamente protagonisti all’interno del grande disegno di controllo degli essere umani sia nella loro natura di individui che nella loro dimensione collettiva.
”La vita è lotta e tormento, delusione, amore e sacrificio, paura e vittoria, è tutto. È nulla. È niente. È un’illusione.”.
Sargis Galstyan